Milanino e le Città Giardino
Il problema dell'alloggio e le prime cooperative
Nella seconda metà dell’ottocento, in tutte le principali città d’Europa sono ormai evidenti i danni che lo sfrenato sviluppo industriale provoca sulla popolazione delle classi meno agiate, i proletari urbani ma anche il nuovo ceto impiegatizio. Le misere condizioni di vita, dovute alla scarsità di alloggi ed al conseguente affollamento, provocano malattie e degrado ai quali si tenta di porre rimedio in vario modo. Oltre alla diffusione delle idee socialiste e del movimento cooperativo, è sempre più numerosa la schiera dei cosiddetti riformatori, cioè di coloro che a vario titolo (studiosi, amministratori, deputati) propongono nuovi approcci o forme di sostegno a favore delle classi più svantaggiate. Oltre al tema igienico-sanitario (le città cominciano a dotarsi di acquedotto e fognatura e, un po’ più tardi, di illuminazione pubblica) vengono affrontati anche gli aspetti sociali. Nascono società di Mutua Assistenza, Banche Popolari e Casse di Risparmio, mense, scuole popolari, biblioteche circolanti, ecc… Anche la beneficenza cessa di essere un’iniziativa degli enti religiosi ed i comuni stanziano risorse per alcuni interventi ad esempio a favore degli orfani e dei malati.
Alla base di tutto comunque è il problema dell’alloggio: come si può porre rimedio a quei casermoni dove la speculazione costringe migliaia di famiglie in condizioni disumane? A parte alcune utopie circa la città ideale che circolano già da alcuni decenni, prende sempre più corpo, prima nel dibattito e poi anche nei tentativi di attuazione, l’idea della bassa densità, del verde, degli spazi aperti, dell’aria pura, cioè il tentativo di portare in città un po’ di ruralità.
A Milano, ad esempio, tra il 1862 ed il 1868 la Società Edificatrice di Case per Operai, bagni e lavatoi pubblici costruisce e poi cede in affitto, su un terreno donato dal comune, 400 alloggi, tutti dotati di latrine ed acqua corrente, in tre edifici di 5 o 6 piani dai quali sono eliminati i ballatoi ed ogni alloggio è accessibile dalle scale (il quartiere S. Fermo, tutt’ora esistente).
Nel 1879, nell’ambito del Consolato Operaio, si costituisce la Società Edificatrice di Abitazioni Operaie, con l’obbiettivo di una casa per tutti. Il modello preferito è quello della casa a schiera con piccoli alloggi unifamiliari,
ognuno dotato di orto e giardino, da cedere ai soci con la modalità del riscatto e ammortamento venticinquennale.
Nel 1881 inizia la costruzione del primo quartiere in via del Conservatorio, venti villette con alloggi da due o quattro locali. Per quanto di dimensioni modeste il progetto ebbe grande risonanza, in quanto completamente finanziato dal risparmio dei soci, al punto da ricevere il primo premio all’Esposizione di Economia Sociale di Parigi del 1889 (le casette furono demolite nel 1967).
Nel 1883 la SEAO acquista quasi dieci ettari di terreno “fuori porta Vittoria” sui quali progetta un quartiere nel verde, con grandi viali, giardini pubblici e privati, case a 3 piani con alloggi da affittare e casette a schiera, con un piccolo orto e giardino, da cedere a riscatto. Dopo la realizzazione dei primi tre edifici tra il 1885 ed il 1887, e la vendita, a causa delle difficoltà finanziarie, di una parte del terreno, tra il 1889 ed il 1892 costruisce un centinaio di casette, una parte delle quali (in Via Lincoln) sopravvive ancora oggi.
Il quartiere di via Lincoln della SEAO (1889-1892)
villaggio Leumann, Collegno (1875)
I villaggi operai e le company town
Nello stesso periodo nascevano i villaggi operai, con i quali alcuni imprenditori più sensibili davano una risposta ai problemi dei loro dipendenti attratti in città dalla campagna per lavorare in fabbrica. In generale essi adottano diverse tipologie abitative, con prevalenza però di edifici piccoli ed abbondanza di verde. In Italia, tra quelli ancora oggi riconoscibili, ricordiamo la Nuova Schio (Vicenza), opera di Alessandro Rossi, sorta a ridosso della Lanerossi tra il 1872 ed il 1890, il villaggio Leumann a Collegno (Torino), costruito dal 1875 dall’omonimo industriale cotoniero, Crespi d’Adda sorta tra il 1890 ed il 1910 come villaggio ideale del lavoro accanto al cotonificio sulla riva bergamasca dell’Adda.
Crespi d'Adda (1890-1910)
Nuova Schio (1872-1890)
In Inghilterra il primo esempio moderno di company town, che fece da modello alle successive, è quello di Saltaire (West Yorkshire, Inghilterra centrale), fondata nel 1853 per i lavoratori della filanda di Sir Titus Salt. A circa 800 case si affiancano servizi come piazze alberate e parco pubblico (che separava dalla fabbrica), scuola, ospizio, bagni pubblici, lavanderia, chiesa.
Dal 1895 l’industriale del cioccolato George Cadbury iniziò a sue spese la costruzione del villaggio di Bourneville presso Birmingham, dotato di ampi spazi a verde ed a parco, che crebbe rapidamente attirando molti abitanti anche non legati alla fabbrica.
Port Sunlight, alle porte di Liverpool, dal 1888 fu invece un’emanazione diretta della fabbrica di saponi Lever.
In Germania il caso più famoso è quello della Krupp che attorno ad Essen, a partire dal 1870, costruì per i suoi operai diverse colonie che arrivarono ad ospitare (nel 1910) 46.000 abitanti.
Tra le realizzazioni più celebri in Francia, si segnala quella di Ville Menier a Noisel (1862-1864), a servizio dell’industria del cioccolato Menier.
Il villaggio di Mulhouse (Alsazia), costruito a partire dal 1854, é invece ricordato perché fu costruito dalla associazione degli industriali locali, invece che da una singola impresa.
Mulhouse è ricordata anche perché qui, per la prima volta in Europa, si adottò su larga scala il modello della casetta con uno o due piani fuori terra, due alloggi affiancati, ognuno dotato di orto e giardino: il prototipo delle odierne case a schiera.
Negli Stati Uniti numerosi furono i villaggi interamente costruiti da un’impresa per alloggiare i suoi dipendenti, ma quasi nessuno è ricordato come modello, salvo il villaggio di Pulmann, oggi un quartiere di Chicago, realizzato dal 1880 dall’azienda omonima, produttrice di vagoni ferroviari di lusso, che volle dedicare particolare attenzione all’aspetto esteriore, che doveva comunicare il benessere dell’azienda e dei suoi lavoratori.
Il primo a sistematizzare l’idea della Città Giardino, formulando una teoria coerente, fu Ebenezer Howard (1850-1928). Rientrato a Londra dopo un soggiorno negli Stati Uniti, prevalentemente a Chicago, lavorò come pubblicista presso il parlamento ed il tribunale. Dopo studi ed approfondimenti sui temi sociali (qualcuno gli attribuisce simpatie per il socialismo) nel 1898 pubblica il suo libro To-Morrow: A Peaceful Path to Real Reform (Domani: la Via Pacifica per una Vera Riforma), praticamente ignorato dalla critica e dal pubblico. Pochi anni dopo (1902) il libro è pubblicato di nuovo con il titolo Garden Cities of To-Morrow (Le Città Giardino di Domani) e questa volta il successo è immediato. Howard fonda la Garden City and Town Planning Association che pubblica una rivista ed inizia a raccogliere fondi per la prima realizzazione.
Secondo una definizione attribuita allo stesso Howard (1919) "una Città Giardino è una città concepita al fine di assicurare alla popolazione sane condizioni di vita e di lavoro. Le sue dimensioni devono essere opportunamente sufficienti per permettere il pieno sviluppo della vita sociale. E' circondata da una cintura rurale, essendo il suolo totalmente di propriétà pubblica o amministrata per fide commissione per conto della comunità".
Howard e la Città Giardino
I tre magneti di Howard
La Città e la Campagna presentano ognuno motivi di attrazione e problemi. Dove andrà la gente? Solo la Città-Campagna offre i vantaggi di entrambi senza i relativi problemi.
Da notare come tra le caratteristiche della Città-Campagna sia evidenziata la Cooperazione, di per non specifica né della città né della campagna, ma elemento costitutivo essenziale della proposta di Howard.
L’idea di unire in un unico posto i vantaggi della città (opportunità lavorative e culturali, relazioni sociali, servizi sanitari e scolastici, negozi) con quelli della campagna (produzione agricola, vita sana a contatto con la natura, aria pura, spazi aperti, sole e luce) eliminando gli svantaggi di entrambi (inquinamento, affollamento, rumore, condizioni igieniche pessime in città, isolamento, mancanza di relazioni e di opportunità in campagna) in fondo non era una novità. Quartieri o sobborghi a bassa densità e con tanto verde pubblico e privato erano già stati realizzati sia negli Stati Uniti che in Europa. Howard la sviluppa ipotizzando una vera è propria città economicamente autosufficiente nella quale siano rappresentati tutti i ceti sociali e siano presenti opportunità lavorative per tutti, con esclusione solo delle industrie più inquinanti, all’epoca quelle chimiche.
A titolo di esempio (la soluzione in realtà dovrà essere particolare in ogni sito, dipendendo dal terreno, dal clima, dalle risorse e dagli usi locali), Howard propone una città con una strutture radiale: al centro un grande giardino, circondato da una enorme galleria trasparente, fruibile anche nella stagione fredda come luogo d’incontro e svago. Attorno, ad anelli concentrici, separati da grandi viali circolari con collegamenti radiali, prima gli edifici pubblici ed i negozi, poi i quartieri più eleganti ed infine quelli popolari, all’esterno la fascia delle officine e degli stabilimenti industriali, attorno una vasta area agricola in grado di alimentare la città. La ferrovia cinge la città all’esterno e collega tra loro le diverse città. Le dimensioni vanno mantenute limitate: 1000 acri (4 kmq) con 30.000 abitanti per la città e 5000 acri (20 kmq) con 2.000 abitanti per la cintura agricola. [Per farsi un’idea, Cusano Milanino ha un territorio di 3,15 kmq quindi potrebbe espandersi ancora di quasi un terzo, mentre la sua cintura agricola dovrebbe comprendere l’intero territorio di Cormano, Bresso e Cinisello]. Una volta raggiunto il limite, si fonda una nuova città creando così una rete di città, collegate dalla ferrovia, tra le quali i movimenti sono prevalentemente di merci e poco di persone.
Considerando che la causa principale dell’abnorme affollamento delle città è la speculazione con il conseguente sfruttamento intensivo del terreno, Howard propone che la Città Giardino sia gestita da una società alla quale dovrebbero partecipare soprattutto gli abitanti stessi. Essa è proprietaria di tutti i terreni dei quali cede ai privati, secondo un piano preordinato, il diritto d’uso per le abitazioni e le attività economiche, mantenendo la gestione dei servizi, in modo che l’incremento dei valori immobiliari sia a vantaggio di tutti i residenti.
Già nel 1903 inizia la costruzione della prima Città Giardino, Letchworth, cinquanta km a Nord del centro di Londra, ad opera della First Garden City Company Ltd. La società, organizzata con forme e spirito di tipo cooperativo, acquista i terreni e li cede in affitto per 99 anni. Le regole sono minuziose: non solo si fissa il rapporto massimo dell’edificato rispetto al giardino, lotti minimi di 400-600 mq di terreno per alloggio, ma si arriva perfino a stabilire il numero massimo di professionisti per quartiere, in modo che tutti possano avere un numero sufficiente di clienti. Lo sviluppo del villaggio è più lento del previsto, subentrano difficoltà economiche e quindi si vendono ai privati lotti di terreno, entrano investitori esterni e si abbassano gli standard per consentire anche l’edificazione di case ultra economiche. Fino alla metà degli anni 20, Letchworth mantiene comunque una unitarietà ed omogeneità nella soluzioni urbanistiche ed edilizie, che ha saputo poi conservare fino ai nostri giorni.
La seconda Città Giardino, Welwyn, viene costruita a partire dal 1919, molto più vicina a Londra. Qui il successo è più rapido, proprio perché si rinuncia all’autosufficienza: la superficie è più piccola, la cintura agricola più limitata e praticamente ridotta ad una cintura verde, la metropoli è vicina è può essere raggiunta per ogni necessità.
Le Garden City inglesi
Il sobborgo giardino, quindi e non più la Città Giardino autosufficiente, è la proposta che affascina anche L. Buffoli ed i progettisti del Milanino. All’inizio del 1906, l’Unione Cooperativa, all’epoca la più forte cooperativa italiana, inizia a considerarla realizzabile anche in Italia: Buffoli, il suo presidente, organizza conferenze sul tema, pubblica articoli che ne mostrano i vantaggi e la praticabilità, tenta di coinvolgere in una grande iniziativa cooperativa per l’edilizia popolare la Banca Popolare di Milano ed alla fine (aprile 1907) propone formalmente all’Unione Cooperativa di farsi carico direttamente del progetto per una città-giardino destinata a soddisfare i bisogni abitativi della classe media, anch’essa stretta fra bassi stipendi ed esigenze, spesso difficilmente conciliabili col reddito, di salute, di istruzione per i figli e di decoro e comunque impossibilitata a partecipare ai bandi per le case popolari. I terreni resteranno di proprietà della Cooperativa, salvo una parte che potrà essere ceduta per la realizzazione dei servizi. Ambiente sano, tanto verde, collegamento comodo con la città ed affitti accessibili sono gli elementi cardine del progetto.
il Milanino
Nel corso di un viaggio-studio in Inghilterra (estate 1907) Buffoli identifica nel nuovo villaggio di Hampstead, a mezz’ora di treno dal centro di Londra, il modello ideale per Milanino:
in questo sobborgo giardino non vi sono stabilimenti industriali, vi si gode la tranquillità, la purezza dell’aria, la visione degli alberi e dei fiori, il senso di benessere ed il riposo che prolunga la vita.
Dopo una fase di stallo in attesa della nuova legge sulle case popolari, dalla quale ci si attendeva indicazioni circa la migliore forma legale da dare all’iniziativa, si arriva all’acquisto dei terreni (ottobre 1908), 1,3 milioni di mq nel Comune di Cusano sul Seveso, scelto tra numerosi concorrenti per la sua vicinanza alla città, la buona qualità dei terreni, adatti sia agli orti che alla fabbricazione in loco dei mattoni, la disponibilità d’acqua, una buona dotazione di servizi a Cusano (scuola, asilo, biblioteca, posta, illuminazione elettrica), la lontananza dagli insediamenti industriali della Bovisa e di Niguarda, il prezzo accessibile.
Il piano regolatore, preparato dall’Ing. Ferrini, direttore dell’Ufficio Tecnico del comune di Milano, è approvato dal comune: lotti di varie misure, da 500 a 1500 mq, massimo due piani fuori terra oltre la torretta, non più di due quinti del lotto occupati
Nel 1910 iniziano i lavori di tracciatura delle strade e di impianto dei servizi, nell’estate successiva si insediano i primi abitanti. Un quartiere di 34 alloggi (cottage e casette a schiera) su un lotto di 14.000 mq è realizzato da una Cooperativa Inquilini creata allo scopo; gli alloggi sono offerti in affitto ai soci. Nel maggio del 1912 si inaugura il palazzo dell’Unione Cooperativa, l’edificio che concentra i servizi: gli uffici della cooperativa, lo spaccio, il bar-ristorante, l’aula scolastica, l’ufficio postale-telegrafico, locali per il ritrovo, la sede della Associazione Pro Milanino, prontamente costituitasi, un piccolo teatro. Nel giardino le attrezzature sportive: attrezzi ginnici, campi da tennis e per le bocce, altalene e giochi per bambini. All’epoca sono già costruite 86 ville e casette. Nell’anno successivo il ritmo rallenta: solo 10 nuove case nel 1913. Nel 1914 si apre la Casa Pensione. L’Unione Cooperativa inaugura un proprio servizio di autobus per collegare Milanino con Milano, visto che ormai pare tramontato il progetto di un tram elettrico sopraelevato ed il servizio offerto dal vecchio gamba del legn a vapore lungo la Valassina è ormai inadeguato.
Fin dal 1910 la Società Anonima Cooperativa Inquilini del Milanino, forte di 1.500 soci, acquista un lotto di 14.000 mq per il primo nucleo di case da cedere in affitto. Secondo Buffoli, questo avrebbe dovuto essere il modello con cui il Milanino doveva essere edificato: cooperative di soci-inquilini che mantenessero la proprietà dei suoli e degli edifici.
Sulla prima porzione del lotto, corrispondente all’isolato tra le attuali via Cooperazione, viale dei Tigli, via Reseda, via Edera sono realizzati 34 alloggi da 4 a 6 locali, ognuno con un piccolo giardino da due-trecento mq. Le case furono messe in affitto ad un prezzo decisamente modesto. Ciò nonostante rimasero sfitte per oltre un terzo.
Ogni progetto per il Milanino veniva approvato dall'Unione Cooperativa. Qui il visto è proprio di Luigi Buffoli.
Questo é uno dei pochissimi progetti in cui, oltre alla casa, viene tratteggiato anche l'orto ed il giardino.
Con la morte di L. Buffoli (ottobre 1914) e lo scoppio della guerra, il progetto di Milanino si arena definitivamente. Dopo la guerra (1923) il Milanino passa dall’Unione Cooperativa, gravata di debiti, ad una società immobiliare, la quale dopo aver ceduto al comune le strade, i marciapiedi, gli spazi pubblici (in condizioni pietose dopo un decennio di abbandono), l’impianto di illuminazione, la rete del gas, la fognatura (mantiene solo la proprietà dell’acquedotto, anche perché a Cusano l’acquedotto non c’era ancora), si dedica solo allo sfruttamento dei terreni e degli immobili.
L’esperienza del Milanino non fu comunque senza frutto: dopo qualche anno di studi e proposte, nel 1933 Cusano, all’epoca sicuramente uno dei pochi Comuni di piccole dimensioni in Italia a farlo, si dota di un Piano Regolatore di Ampliamento, che mantiene integralmente per la Città Giardino la regolamentazione originale. Grazie a questo ed ai suoi successivi aggiornamenti, Cusano e Milanino riusciranno sostanzialmente a minimizzare i danni nel corso degli anni 60 e 70, la stagione dello sviluppo edilizio selvaggio.
I villaggi di casette
Sull’esempio del Milanino, si muove la Cooperativa Quartiere Giardino Mirabello (una società costruita in forma cooperativa solo per trarre alcuni vantaggi previsti dalla legge), che tra il 1911 ed il 1912 costruisce un quartiere di case nel verde (subito individuato come villaggio dei giornalisti , per la professione di molti dei primi proprietari) alle porte di Milano, tra via Arbe e la Ferrovia. Inserita nell’ambito di un progetto più grande di sviluppo dell’area verso la Bicocca e Sesto San Giovanni, dove era nato un grande polo industriale, l’iniziativa ebbe un buon successo per le dimensioni contenute (una cinquantina di abitazioni in tutto) ed il comodo collegamento con la città: il tram elettrico per Cinisello sarà inaugurato nel 1913. Il quartiere può vantare perfino una visita del Re Vittorio Emanuele III (18 settembre 1912).
il Villaggio dei Giornalisti oggi
In città, a Milano, nel 1911 sorge il villaggio dei Ferrovieri, accanto a Piazza Carbonari: casette di due piani, con minuscoli giardini sul retro e le tipiche decorazioni dell’epoca. Nonostante molte siano state trasformate, passeggiare oggi in quei vialetti ancora rende le sensazioni dell’epoca.
il Villaggio dei Ferrovieri
noto come la Maggiolina
dal nome di un'antica cascina
La Cooperativa Case ed Alloggi (attiva fin dal 1887 con la realizzazione di casette a schiera sia di tipo signorile che economico, con un piccolo giardino posteriore), cavalcando la moda del momento, etichetta quasi tutte le sue realizzazioni come “quartieri giardino”: 230 alloggi tra via Porpora e via Vallazze (1910), 250 al quartiere Castelletto verso Baggio (1911).
Qui le case di Via Vallazze (1910)
Nel 1919 l'Istituto per le Case Popolari ed Economiche di Milano gestisce un consistente patrimonio di alloggi realizzati nei tre lustri precedenti in grandi caseggiati a 5 0 6 piani. Ora decide di sperimentare la tipologia del villino, soprattutto per i bassi costi di costruzione unitari ed i tempi rapidi ed avvia la realizzazione di ben quattro villaggi di casette: Baravalle, Campo dei Fiori (adiacente al quartiere di Via Mac Mahon), Gran Sasso (adiacente al quartiere di Via Lombardia) e Tiepolo, in totale oltre 600 alloggi per circa 2500 locali, costruiti in meno di 200 giorni. Si tratta di abitazioni unifamiliari, singole o abbinate, composte dal solo piano terreno o al massimo da un piano superiore, da due a cinque locali. Ogni alloggio è dotato di cucina, acquaio, latrina, cantina sotterranea, portico e solaio, orto o giardino dai 100-150 mq. Le casette con più di tre locali saranno dotate anche di vasca da bagno. E’ evidente in queste realizzazioni l’influsso del movimento delle città giardino, in opposizione alla classica casa operaia con ballatoi e servizi in comune. I quattro villaggi saranno demoliti negli anni 60-70 ed in gran parte ricostruiti con volumi ben superiori.
Qui un villino del villaggio Baravalle
In seguito il modello del villaggio di casette fu adottato dall’Istituto solo nel quartiere Andrea del Sarto (1924), di cui ancora oggi rimangono alcune villette. Negli anni successivi, l’istituto realizza decine di nuovi quartieri, tutti costituiti da grandi condomini, abbandonando definitivamente il modello dei villini nel verde.
Nel 1920 l’Istituto realizza, per conto della Cooperativa dei Postelegrafonici, il villaggio di casette La Postelegrafonica, tutt’ora visibile tra Viale Zara e via Taramelli.
Sempre nel 1920, la Breda a Sesto San Giovanni , in via Camagni, lungo la ferrovia, costruisce nove villette da due o quattro alloggi per i suoi impiegati. Anche qui il progetto è di Giovanni Broglio, direttore tecnico dell’Istituto. Grazie al timpano centrale, curiosa la somiglianza di quelle ad un piano solo con lo Chalet del tennis a Milanino, realizzato all’incirca nello stesso periodo.
Il Borgo Pirelli, costruito (1923) alla Bicocca lungo viale Sarca, comprende 27 casette da due o quattro alloggi e relativo orto e giardino. Il progetto completo, non realizzato, prevedeva oltre 90 villini su uno spazio di circa 90.000 mq, di cui solo 15.000 coperti; altissima quindi la percentuale di spazi aperti e a verde, come richiesto per “un villaggio giardino, in armonia con le moderne massime sulla erezione dei borghi operai”. Il villaggio era dotato di tutti i servizi essenziali (acqua, gas, luce, telefono, fognatura, tram) in modo “che tutti gli abitanti del borgo risentono pochissimo dei disagi prodotti dalla distanza dalla città, mentre hanno tutti i vantaggi della vita di campagna”. [dalla relazione degli amministratori all’assemblea ordinaria degli azionisti Pirelli del 28 marzo 1920].
A Cervia, sulla riviera romagnola, si lancia lo sviluppo turistico ed immobiliare della pineta, da allora denominata Milano Marittima, all’insegna della Città Giardino; le prime costruzioni (1912) richiamano infatti la tipologia edilizia prevalente per i villini nella manualistica dell’epoca.
Le altre Città Giardino Italiane
A Roma i due quartieri giardino di Aniene-Monte Sacro e Garbatella, opera del locale Istituto per le Case Popolari, sono realizzati a partire dal 1920, ispirandosi esplicitamente, per lo meno nella fase iniziale, alle Garden City d’oltremanica, con villini immersi nel verde e servizi come la scuola, la chiesa, la posta, il parco pubblico. A partire dagli anni '50 subirono anch’essi lo stravolgimento edilizio che accompagnò il cosiddetto miracolo economico.
La città giardino di Marghera si sviluppa a partire dal 1921 come insediamento a servizio del nuovo porto. Le rigide regole iniziali (solo due piani oltre il terreno, non più di un quinto del lotto occupato) vengono presto abbandonate ed il quartiere rapidamente perde la fisionomia originale.
Una conclusione
Oggi, dopo decenni di “la casa dei tuoi sogni, immersa nel verde a 10 minuti dalla città” durante i quali si è costruito dovunque, il modello della città (o del sobborgo) giardino è guardato da molti con sospetto, in quanto ritenuto, oltre che antiquato ed inapplicabile su larga scala, responsabile di un consumo di suolo ormai insostenibile. Gli si contrappone la “città densa” tipica della tradizione europea e soprattutto italiana, che consentirebbe, grazie alla concentrazione di tanti abitanti in uno spazio circoscritto, un facile acceso ai servizi ed alla occupazione.
Il sogno e la sua realizzazione pratica in versione economica
D’altro canto l’aspirazione insoddisfatta di molti, ancora oggi, a quegli aspetti della qualità della vita che fin dalle origini il movimento delle città giardino si proponeva di offrire, testimonia che il dilemma città-campagna non è ancora risolto, se non eccezionalmente, nelle soluzioni urbanistiche ed abitative comunemente disponibili oggi. Proprio da qui bisogna quindi ripartire per progettare soluzioni moderne e sostenibili, rispettose di quelle esigenze di qualità dell’abitare ormai irrinunciabili.
E' questo il futuro?
marzo 2017 - gma