Una lettera di Eugenio Tagliabue, acquirente di un lotto a Milanino, contesta la norma che consente, tra le proprietà, muri divisori chiusi fino all’altezza di m. 1,80. Non sono sufficienti a difendere dai malintenzionati (sono facilmente superabili) né riparano dall’indiscrezione (basta alzarsi in punta di piedi per guardare oltre); sono quindi solo un segno di sfiducia nei confronti del vicino: “questo muro chiuso tutto all’ingiro del giardino toglierà una parte di sole e di luce e renderà alquanto cupo l’ambiente scemandone in parte la vaghezza e quella leggiadria campagnola e fidente che deve rappresentar il miglior coefficiente di allettamento all’invito di nuovi accorrenti”. Lui erigerà uno muro di soli 80 cm sormontato da una rete sulla quale farà arrampicare le rose, le campanule, o magari fagioli, piselli, zucche, … formando così “una muraglia splendida e meno costosa di quella in muro, egualmente inaccessibile ad ogni sguardo, raggiungendo l’ideale di quella splendida poesia che animava il meraviglioso sogno di Faust morente e che oggi anima la nostra Unione Cooperativa, che segna nel nostro Milanino il trionfo dell’aria, del sole, della concordia e della civiltà”.
Nella risposta, la redazione ricorda le “semplici siepi verdeggianti” di villaggi inglesi, che “assai conferiscono all’amenità ed alla salubrità dei quartieri”, lamenta il fatto che da noi prevalgono ancora i pregiudizi e le timidezze che hanno obbligato a prevedere, nelle norme per il Milanino, quella facoltà di cui si augura pochi vorranno fare uso.