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In una lettura (allora si chiamavano così le conferenze) al Collegio degli Ingegneri e degli Architetti a Milano, Nino Sacerdoti, affermato progettista dell’epoca, esamina il problema delle case operaie a Milano. Dopo un breve accenno alla drammaticità della situazione ed alle sue cause (grande incremento della popolazione operaia per lo sviluppo delle industrie e scomparsa di moltissime abitazioni modeste per gli sventramenti operati in città per l’apertura nel centro di nuove grandi arterie con i relativi palazzi signorili), descrive con abbondanza di particolari le iniziative di edilizia popolare in Inghilterra, in Francia, in Germania nella seconda metà dell’800. Le poche iniziative milanesi sono rapidamente delineate. La Società Edificatrice di Case per operai, di Bagni e Lavatoi Pubblici, che dopo il quartiere di San Fermo (1862-1868) non dette altro segno di vita, non ha certo inciso nella soluzione del problema. La Società Edificatrice di Abitazioni Operaie, con le casette di via del Conservatorio (1882), il villaggio fuori Porta Vittoria (casette e grandi fabbricati, 1886-1892), le casette fuori porta Magenta (1892), ha realizzato ben 242 alloggi, un risultato “complessivamente meschino” se si pensa che ha potuto sopravvivere solo grazie alla speculazione sul terreno fuori Porta Vittoria e che la maggior parte delle case cedute a riscatto ha dovuto essere ripresa dalla Società per l’impossibilità degli acquirenti di mantenere il contratto.
Cosa bisogna fare allora per dare alloggi sani a prezzi equi alle classi meno agiate? Innanzi tutto bisogna essere realisti e, rinunciando all’utopia, progettare grandi edifici di abitazione collettiva, i soli adatti ad una città come Milano. Le ragioni economiche, come dimostrano le esperienze della Società Edificatrice, sono schiaccianti. Bisognerebbe andare nei sobborghi, lontano dalla città, dove si trovano terreni a prezzi bassi, come si è fatto a Parigi ed a Londra. Ma ciò, oltre a seri inconvenienti per gli operai (la città offre più facile impiego dei ragazzi, possibilità di guadagno supplementare per le donne, maggior comodità per la vicinanza dei mercati), presenta il grave problema
“…del trasporto degli operai alla mattina e alla sera dalle loro case agli opifici e viceversa. Disponiamo noi ora di sufficienti mezzi di trasporto per soddisfare a tutte le esigenze di un simile servizio? Occorrerebbe fare nuovi impianti e nello stesso tempo ribassi fortissimi nei prezzi usuali di trasporto, indispensabili per un movimento di tal genere; ciò che non renderebbe remunerativi gli impianti stessi. Figuriamoci lungo il Viale Monza un gran quartiere di operai, che dovessero mattina e sera recarsi a Milano e ritornare! Come farebbe la nostra società tramviaria a trasportare migliaia di persone alla stessa ora, ai prezzi ridottissimi, e quindi di perdita o quasi, che dovrebbe adottare, per di più con un enorme sciupio di materiale, inevitabile con tal genere di passeggeri?”
I requisiti d’igiene si possono soddisfare anche nei caseggiati, realizzando il disimpegno dei vari locali con le scale e non con i ballatoi, curando la circolazione dell’aria tra gli edifici, dotando ogni alloggio di latrine, progettando adeguatamente i servizi comuni come bagni e lavatoi. Le case operaie dovranno poi essere distribuite nei vari quartieri, senza realizzare villaggi esplicitamente destinati agli operai. Per occuparsi di tutto questo, l’autore auspica la costituzione di un ente autonomo, finanziato dalla Cassa di Risparmio a tassi agevolati (non più del 3,5%) ed amministrato da delegati del comune e della Cassa di Risparmio, che abbia come unico scopo la costruzione e la gestione di case per le classi meno abbienti.