Il problema della casa rappresenta “il più alto ed il più urgente dei problemi sociali [ed è] assoluto il dovere delle classi dirigenti di muovere arditamente e sollecitamente alla sua soluzione”. Le città erano impreparate ad accogliere tutti i lavoratori che richiamarono con lo sviluppo dell’industria e dei servizi ed in più i lavoratori stessi, con la loro pressione, peggiorarono ulteriormente la situazione, di fatto annullando quei miglioramenti nelle condizioni di lavoro e di salario che li avevano attirati in città. Ecco quindi l’aumento degli affitti e “l’agglomeramento delle famiglie povere o meno agiate in abitazioni malsane e indecorose”.
Nessuno più dubita che la casa “rappresenti il massimo fattore di civile progresso”. Però anche la casa del popolo deve avere tutti quegli indispensabili “precetti di igiene, di pulizia, di decoro…di salubrità e di comodità che la dottrina sociale ci insegna”. “Nella casa bella, sana e lieta il popolo che lavora trova l’impulso più potente al suo elevamento morale; i vincoli famigliari si restringono, i costumi si addolciscono e si affinano, i migliori istinti dell’animo umano si espandono liberamente, mentre i corpi si rinvigoriscono coll’abitudine dell’osservanza delle norme igieniche. Diminuiscono così le malattie e la delinquenza e con esse diminuisce l’appello alle fonti della beneficenza e diminuiscono gli oneri e le responsabilità degli enti pubblici”.
La casa “come elemento di maggior civiltà” è un concetto non sempre è capito dalle classi lavoratrici che di fronte ad un sacrificio economico per abitare in case belle e sane, fornite di servizi moderni come i bagni o le biblioteche, preferiscono rinunciarvi. Il modo migliore per fare opera di persuasione è allora quello di fornire case costruite con questi criteri, in modo che i vantaggi ne siano evidenti. Quindi non case qualsiasi, purché tante, ma case moderne. Il quartiere popolare costruito dal Comune di Milano secondo questi principi (ampi cortili, spazi liberi, almeno due locali per alloggio, un edificio con bagni, docce, lavatoio, locali per bambini) fu criticato perché non realizzava la massima economia [si riferisce al grande quartiere realizzato dall’Umanitaria in via Solari 40, 240 alloggi per un migliaio di inquilini, abitato dal marzo 1906 – Ndr]. Gli inquilini stessi furono restii ad utilizzare i nuovi servizi (per i primi sei mesi nessuno utilizzò le docce), ma ora a distanza di quattro anni, “nessuno trascura di usare le docce almeno due volte la settimana e basta interrogare le madri di famiglia per sentirle esprimere in termini entusiastici la loro felicità di trovarsi in una vera casa … ove i loro bambini crescono floridi di salute ed il loro marito assai volentieri si sofferma a godere della pace domestica”.
L’autore cita poi l’esempio di Camberwell, un quartiere che fino a dieci anni fa era “la parte più orrida di Londra … un ammasso di casupole luride e diroccate, dove gli abitanti si agglomeravano fra le immondizie ed ove l’alcolismo infieriva colle inevitabili sue conseguenze della morbosità e della degradazione morale”. Il comune cominciò ad acquistare alcune delle case peggiori, qua e là nella stessa via, costruendo nuove casette dotate dei sevizi necessari ed affittandole allo stesso prezzo che i privati pretendevano per le loro “luride stamberghe”. Questo, da una parte, aveva lo scopo di risvegliare negli abitanti “sentimenti di decoro e pulizia e il bisogno di soddisfarli, che una lunga abitudine alla sofferenza aveva fatto perdere” e dall’altra indurre gli abitanti delle case vecchie a pretendere dai proprietari gli stessi miglioramenti dei loro vicini. La strategia ha funzionato ed ora il quartiere si sta trasformando radicalmente e “la popolazione dimostra già di aver raggiunto un miglioramento morale e fisico che alcuni anni fa sembrava follia sperare”.
(continua)